
I piani individuali di risparmio (o PIR), introdotti dall’ultima legge di bilancio, sono la grande novità del 2017 e sono stati creati come forma di investimento a medio termine, capace di veicolare i risparmi verso le imprese italiane, e in particolare verso le piccole e medie imprese. Ma come? Abbattendo la tassazione (su capital gain, dividendi, successione e donazioni). Acclamati a gran voce da Assogestioni, i Pir non sono comunque appannaggio esclusivo del risparmio gestito. Possono essere di natura assicurativa o inseriti nell’ambito del risparmio amministrato.
Il piano individuale di risparmio è un contenitore di strumenti finanziari che permette al sottoscrittore di essere esentato dalla tassazione sui capital gain, a patto che l’investimento abbia una durata minima di cinque anni, non superi l’importo di 30mila euro annui per un investimento totale massimo di 150mila euro. Le risorse raccolte in un piano individuale di risparmio, potranno essere investire in diversi strumenti finanziari, come azioni, obbligazioni, quote di fondi di investimento e anche conti correnti bancari. ll 70% di quanto investito deve essere destinato a strumenti finanziari emessi da imprese italiane. Ma anche da imprese europee, purché abbiano una stabile organizzazione in Italia. Il restante 30% può essere destinato ad altri strumenti finanziari, anche ai conti correnti o ai conti deposito. Il 30% del primo 70% (quello da destinare alle imprese italiane o europee stabilite in Italia) deve essere investito in strumenti emessi da imprese diverse rispetto a quelle incluse nel FTSE Mib. E cioè verso aziende di dimensioni minori (PMI), come quelle quotate nei segmenti MidCap (il paniere dei titoli a media capitalizzazione), Star (il segmento delle società ad alti requisiti), Standard o sul mercato AIM. Non più del 10% del portafoglio può essere destinato a strumenti emessi dallo stesso emittente. I piani di investimento individuale non hanno una durata massima. E’ invece definita una durata minima di 5 anni sopra i quali non verranno applicate tasse sulle rendite finanziarie. Rispettando questo limite, siamo di fronte ad un investimento che possiamo considerare di medio periodo. E per chi lo vuole, può diventarlo anche di lungo. Se le somme vengono riscosse prima dei 5 anni il risparmiatore delle versare la normale tassazione del 26% su quanto ha guadagnato, sia in termini di capital gain che sui dividendi percepiti.
Ma quanto costano i Pir? Questo è un punto delicato. Se è vero che il risparmiatore investendo su tali prodotti è esentato dall’aliquota fiscale sul capital gain, è altrettanto vero che questa possibilità ha un costo. Analizzando i prospetti sia del Pir già operativo, sia di quelli in fase di partenza ci sono costi di sottoscrizione, di gestione e, spesso, di performance. Il loro ammontare complessivo sarà determinante per consentire al sottoscrittore di capire se il gioco valga la candela. Tradotto: se il vantaggio fiscale non venga vanificato dalle spese, tanto più che c’è anche un vincolo temporale che rappresenta comunque un costo opportunità senza alcuna garanzia di rendimento. I costi dei Pir, poi, in genere variano in base al profilo di rischio